Terra
contaminata
Sul
cartello c'era scritto : “Vendesi terreno agricolo , 10.000 m2
,
5000 €,
per informazioni mi trovate nella casa alla fine della strada”.
Enrico e sua moglie Elvira erano proprio alla ricerca di questo, un
terreno umile ad una cifra molto bassa. Quello che li sorprendeva era
proprio il prezzo, troppo basso anche per un piccolo pezzo di terra
come quello. Avevano pensato bene di chiedere al padrone se c'era
qualche seccatura in merito , così si diressero verso la sua casa.
Si fece avanti Enrico che bussò alla porta. Nessuna voce. Nessun
rumore di passi. La casa era deserta. All'esterno il legno che la
formava era tutto consumato, la porta graffiata come da un artiglio
grande quanto un uomo. L'area anche era desolata. Soltanto un
casaletto 100 m a sinistra della casa. Il sole stava per tramontare e
dopo cinque minuti di attesa la coppia aveva deciso di lasciar
perdere. Elvira, voltandosi, vide la porta aprirsi lentamente verso
l'interno fino a sbattere leggermente. Da fuori,a causa del gioco di
luce, non si vedeva nulla. Solo una porta aperta nel buio. Così si
riavvicinarono all'uscio. All'improvviso un braccio assai pesante si
posò sulla spalla di Enrico, il quale si gira e trova davanti a se
una silhoulette imponente. Era l'addetto alla vendita del terreno,
che durante il fine settimana viveva in quella casa semi abbandonata.
Jeans, camicia scozzese a maniche corte e un berretto blu. Si
presentò con un sorriso gentile e una stretta di mano forte il
signor Tullio. Alle domande poste, replicò alla coppia che quel
terreno lo aveva ereditato da uno zio, il quale fu trovato morto,
forse per disidratazione, all'interno del casaletto. Essendo l'unico
parente più vicino ereditò il terreno e non avendo voglia di
curarlo lo mise in vendita a quel prezzo per farci giusto due soldi.
Non sapeva se il terreno era in cattive condizioni. C'era una
serretta al centro, alta un metro e mezzo con il nylon sporco di
terra. Forse era stata fatta per i pomodori.
Ad una corta
chiacchierata seguì l'accordo. Enrico ed Elvira avevano dei risparmi
da parte e decisero di comprare il terreno pagandolo in un unica
soluzione. Assegno di 5000 € ed affare chiuso. Tullio prese
l'assegno con aria seria emettendo un sospiro di sollievo. Un
sollievo interno dopo una burrasca causata un qualcosa di profondo,
di misterioso, lugubre. Con il volto sudato, sorridente, salutò la
coppia e andò verso il suo Pick-up posteggiato sul retro della casa.
Si era dimenticato però di dare loro la chiave . Così tornò
indietro e consegnò le due chiavi: una della casa, l'altra della
piccola costruzione a sinistra. Se ne andò.
I nuovi proprietari,
felici, decisero per prima cosa di visitare la casa, anche se non
importante poiché ne avrebbero usato solo il bagno. Entrarono e
trovarono la casa vuota, non c'era mobilia. Era composta da una
stanza, un bagno ed un cucinotto. Al centro dello stanzone c'era un
tavolo e quattro sedie di legno consumato. L'abitazione era fetente.
Dal bagno veniva una forte puzza di cadavere, da far pensare che
fosse la casa dei morti viventi. Era probabilmente la fogna intasata
da sporcizia e quant'altro. Dopo questo brevissimo sopralluogo
decisero di tralasciare il casaletto e rifare i quindici kilometri
per ritornare alla loro casa. Dunque dovevano soltanto preparare il
terreno per la settimana successiva e acquistare il materiale.
Comprarono dei sementi di melanzana, di lattuga, radicchio, pomodori
e lasciarono da parte qualche tubero di patata. Tornarono due giorni
più tardi, eccitati, non vedevano l'ora di iniziare a produrre con
cura e amore quello che, mesi più tardi avrebbe nutrito i loro corpi
e le loro anime. Sì perché la soddisfazione di mangiare ciò che è
auto prodotto sazia anche lo spirito.
Enrico si occupava
del controllo del sistema di irrigazione mentre Elvira tentava di
eliminare quel fetore nel bagno. Tutto funzionava a meraviglia, era
solo necessario preparare la terra. Non avevano bisogno di tutto il
terreno ma solo di una parte. Così si concentrarono su quel pezzo.
Con un po di impegno misero solo due giorni per prepararlo.
Smontarono la piccola serra e bagnarono il terreno per constatare il
tempo e la qualità dell'assorbimento dell'acqua. Trentacinque minuti
ed il terreno pronto. Mentre facevano i solchi, dalla terra saliva un
odore molto forte, come di fiori marci. Diedero poca importanza al
fatto. Passarono alla semina. Passarono settimane e settimane prima
di vedere i frutti – in questo caso verdure – del proprio lavoro.
Gli ortaggi emanavano dei profumi intensi, buoni , a tal punto di
assaporarli con il solo senso dell'olfatto. Dunque iniziarono a
raccogliere. Dei pomodori rossi, qualche melanzana e un po di lattuga
per il pranzo. Elvira li pulì con cura, fece un insalata e le
melanzane grigliate. Quel giorno fecero quasi indigestione della
piccola parte di raccolto. Erano soddisfatti, felici, per la qualità
degli ortaggi. Passarono cinque giorni e i due cominciarono a
soffrire di lievi dolori articolari. Il sesto giorno ebbero continui
sbalzi di temperatura, da febbre molto alta a ipotermia. Il settimo
giorno dei forti crampi allo stomaco. Non riuscivano a muoversi.
Erano spacciati. I sintomi erano svariati. La loro pelle si
incominciò a squamare. Chiamarono un dottore. Li visitò. Non aveva
mai visto una cosa del genere. Si recò al dipartimento malattie
infettive per richiedere la visita della coppia alla loro abitazione.
Durante la notte i due morirono. Arrivati gli specialisti li
avrebbero trovati morti. Il giorno seguente arrivarono i medici.
Bussarono alla porta. Non rispose ne aprì nessuno. In allarme,
decisero di aprire la porta scassinandola, ma si accorsero che non
era chiusa. Cercarono in tutte le stanze Enrico ed Elvira. Non li
trovarono. Così chiamarono tutti gli ospedali limitrofi per chiedere
se avevano informazioni dei due. Non erano presenti in nessun
ospedale. L'allarme contagio era alto. Si mobilitarono immediatamente
per cercarli, chiedendo anche informazioni ai vicini. Un vecchio
vagabondo che viveva in una baracchetta vicino alla loro casa li
aveva visti. Era di notte e c'era una nebbia molto bassa. Vide la
coppia che trascinando i passi,mano per mano, camminava per la
strada. Erano diretti verso una zona collinare. La zona dove avevano
acquistato il terreno.
Dopo varie ricerche
e con l'aiuto della polizia, i medici specialisti vennero a
conoscenza dell'acquisto del terreno: dunque decisero di andare a
fare un sopralluogo alla ricerca dei coniugi.
Non trovarono
nessuno tranne che delle carcasse di animali : erano privi del sangue
e degli organi interni. L'area circostante emanava un fetore
insopportabile. Non capendo da dove veniva intensificarono le
ricerche, ma non riuscirono a trovare una causa. Non riuscirono a
trovare nemmeno i due poveretti. Probabilmente erano morti, ma non si
avevano prove. Nessuno ebbe più notizia dei coniugi. Con il passare
degli anni quell'area restò incolta e senza padroni. La casa cadde a
pezzi. Restava in piedi soltanto il casaletto. Successivamente la
zona venne dichiarata edificabile. Un costruttore acquistò il
terreno e volle tirarci su un piccolo centro residenziale.
Erano
le cinque di un mattino qualunque. La squadra addetta agli scavi si
era riunita a fare colazione e pianificare il lavoro. Assegnarono la
demolizione del piccolo casale al giovane Miguel, un immigrato
Hondureno che era in prova. Quel mattino nessuno poteva pensare alla
scoperta che avrebbero fatto più tardi, poiché non erano a
conoscenza dei fatti accaduti in passato. Erano tutti pronti.
Indicarono a Miguel la costruzione da demolire. Lui prese gli
attrezzi, andò verso il casaletto e arrivato alla porta vide un
lucchetto massiccio a serrare l'entrata. Lo ruppe con tre colpi di
mazza. Ahimé! Aprì la porta. Quello che gli si presentò davanti
era mostruoso. Un vecchio, con la pelle chiazzata di grigio, bubboni
blu sul volto e occhi pieni di sangue si alzò dal terreno. Stette a
fissarlo non più di due secondi prima di saltargli addosso e
strappargli la carne del volto. Consumò il povero Miguel in trenta
secondi. Se ne accorse un altro operaio che raccoglieva i pezzi
rimasti della casa. Corse verso il morto vivente e gli piantò il
piccone nel cervello. Gli occhi gli schizzarono fuori dal cranio,
dalla bocca fuoriusciva una melma putrefatta e fetente. Cadde a
terra. Lo zombie fu annientato. Tutti gli operai accorsero sul posto,
increduli. Solo l'addetto alla scavatrice non era presente perché
non aveva sentito. Aveva le cuffie anti inquinamento acustico e stava
scavando nell'orto. Quando arrivò a tre metri di profondità tirò
su una marea di melma grigia. Dentro la buca erano presenti un
centinaio di cadaveri: i loro corpi nutrivano delle radici. Le radici
che avrebbero dato vita a quei maledetti frutti del terreno.